Più che una domanda un’affermazione: perché abbiamo tutti bisogno di un Coach
Sarebbe bello iniziare questo articolo con “c’era una volta, ma in realtà si tratta di un problema di stretta attualità. Tradizionalmente il percorso di crescita più comune prevede una carriera scolastica – studio e attestati, tirocini e praticantati – seguita dall’ingresso nel mondo del lavoro. Ci sperimentiamo quotidianamente con quanto appreso, mettendo in pratica gli insegnamenti e mettendoci in gioco come persone e come professionisti. Continuando a studiare sempre, perché si sa che gli esami non finiscono mai. Ci confrontiamo con il sistema-mondo al quale apparteniamo. In base agli apprendimenti e all’esperienza strutturiamo atteggiamenti, intenzioni e azioni. Con l’impegno e le opportunità favorevoli possiamo anche diventare bravi nella nostra attività. Generalmente la curva di apprendimento iniziale sarà molto veloce e ci vedrà crescere e migliorare di giorno in giorno, la stessa curva con il passare del tempo sarà soggetta ad un progressivo, naturale, rallentamento.
Tradizionalmente lo sviluppo dell’expertise nell’esercizio della professione (inteso come insieme di conoscenze, abilità, competenze ed esperienze necessarie per svolgere un’attività) non necessita di un coach, ma ci sono numerose difficoltà nel “fai da te”. C’è il pericolo di non riconoscere le criticità del nostro metodo di lavoro e, qualora riuscissimo ad individuarle, non è detto che disponiamo delle capacità operative e metodologiche per risolverle.
Le conseguenze possono tradursi in un blocco del nostro percorso di crescita professionale. Se smetti di migliorare quella curva che prima stava rallentando ad un certo punto si fermerà. Questo è ancora più vero quando parliamo di competenze interpersonali, la maggior parte dei professionisti non ritiene che vadano studiate, tanto meno esercitarle con il supporto di un coach.
La cristallizzazione del nostro modo di lavorare (modus operandi) risente oltretutto di diverse condizioni. Tra le più rilevanti ne segnaliamo una legata ad una variabile fisiologica ed un’altra al contesto operativo, partiamo da quest’ultima:
Le risposte del contesto al tuo operato diminuiscono. La quantità e qualità di feedback che riceverai nella vita sarà inversamente proporzionale alla tua crescita professionale. Mi spiego meglio, più cresci come professionista e meno troverai persone disposte a darti feedback sinceri e di qualità rispetto al tuo operato.
Quanti feedback credi che riceva un top manager?
E’ il momento di passare alla seconda variabile selezionata, l’età: l’anagrafica ha un peso rilevante, la plasticità di un cervello giovane si traduce in genere nell’abilità di incorporare i feedback in modo più rapido rispetto agli adulti.
Per uscire dall’impasse allora possiamo guardare oltre, agli sportivi.
Nel loro mondo il complesso di regole metodologiche, modelli esplicativi del successo ed i criteri di soluzione ai problemi differiscono da quello che abbiamo definito come tradizionale. In ambito sportivo vige la regola che le prestazioni possono sempre migliorare, che i propri limiti si possono allenare e superare.
Gli sportivi migliori sono accomunati da una cosa: hanno un coach perché non basta possedere il know-how da campione per esserlo. Occorre anche un allenatore, una guida per acquisire la corretta mentalità per vincere, due occhi per osservare e orecchie per ascoltare.
Che tu sia uno sportivo o meno un coach ti allena a:
- Focalizzarti sull’obiettivo
- Sviluppare resilienza e persistenza
- Far chiarezza e gestire lo stress
- Aumentare la consapevolezza del tuo potenziale
- Esercitarti a rimetterti in piedi quando cadi su un ostacolo
Non basta essere bravo oggi, la sfida è essere bravo domani e questo necessita competenze e le competenze richiedono esercizio